giovedì 17 novembre 2011

“ITALIA SI. ITALIA FORSE…” I CENTOCINQUANTA ANNI DELL'UNITÀ “INCOMPIUTA”



“ITALIA SI. ITALIA FORSE…”
 I CENTOCINQUANTA ANNI DELL'UNITÀ “INCOMPIUTA”
Marika Congestrì


Reggio Emilia: Il Presidente Giorgio Napolitano riceve gli onori militari

Il 7 Gennaio scorso a Reggio Emilia, alla presenza del presidente Giorgio Napolitano, ha preso ufficialmente il via il cursus delle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia.
Un secolo e mezzo di storia incardinato sull'eredità gloriosa del nostro Risorgimento con i suoi eroi e le sue epopee, un secolo e mezzo di storia qualificato dalla nascita di una nazione e della dignità dei suoi cittadini, dalla fine del potere temporale della Chiesa e dall'affrancamento da secoli di ingiustizie e soggezioni a potenze straniere.
La scelta del giorno e del luogo è legata alla nascita ed alla centralità del nostro tricolore innalzato, per la prima volta, proprio a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797 come emblema della Repubblica rivoluzionaria Cispadana, creata nell'Ottobre del 1796 dall'unione dei governi provvisori delle città di Modena, Bologna e Ferrara.

A più di due mesi di distanza, il momento fondativo ed unificante del centocinquantenario è risultato il 17 Marzo proclamato dal Decreto Legge n. 5 del 22 Febbraio 2011 “La festa nazionale dell'unità”, una celebrazione che, solo per quest'anno, ha disposto la chiusura di scuole e uffici pubblici, notti tricolori in molte città, aperture straordinarie di fondazioni culturali e musei, calendari di iniziative, progetti e manifestazioni locali e regionali.Un secolo e mezzo di storia incardinato sull'eredità gloriosa del nostro Risorgimento con i suoi eroi e le sue epopee, un secolo e mezzo di storia qualificato dalla nascita di una nazione e della dignità
dei suoi cittadini, dalla fine del potere temporale della Chiesa e dall'affrancamento da secoli di ingiustizie e soggezioni a potenze straniere.
La scelta del giorno e del luogo è legata alla nascita ed alla centralità del nostro tricolore innalzato, per la prima volta, proprio a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797 come emblema della Repubblica rivoluzionaria Cispadana, creata nell'Ottobre del 1796 dall'unione dei governi provvisori delle città di Modena, Bologna e Ferrara.
A più di due mesi di distanza, il momento fondativo ed unificante del centocinquantenario è risultato il 17 Marzo proclamato dal Decreto Legge n. 5 del 22 Febbraio 2011 “La festa nazionale dell'unità”, una celebrazione che, solo per quest'anno, ha disposto la chiusura di scuole e uffici pubblici, notti tricolori in molte città, aperture straordinarie di fondazioni culturali e musei, calendari di iniziative, progetti e manifestazioni locali e regionali.

Il Presidente Giorgio Napolitano e l'astronauta Paolo Nespoli
In quella data, nel 1861 a Torino, Vittorio Emanuele II firmava la legge con la quale, accogliendo i voti del primo Parlamento italiano riunito a Torino, assumeva per sé e per i suoi successori il titolo di re d’Italia. Nasceva così lo Stato nazionale unitario.
L'Italia: centocinquanta anni e forse li dimostra. Centocinquanta anni e, “fatta” l'Italia, sembrano da “fare” ancora gli italiani. La ricorrenza è stata accompagnata, infatti, da polemiche che dicono tanto a proposito del nostro stato di “salute sociale”. Una grande timidezza e un malcelato distacco hanno scandito i preparativi per gli eventi celebrativi mentre le istituzioni sembrano aver mantenuto, in linea generale, un profilo sorprendentemente basso: non sono mancate forze politiche che hanno disconosciuto apertamente il Risorgimento, proclamando l'inutilità delle celebrazioni e avanzando farneticanti rivendicazioni anti-italiane.
Logo 150° Unità d'Italia
Proprio il provvedimento istitutivo della festa nazionale, in sé giustificato e comprensibile, aveva suscitato una girandola di polemiche e malumori dei leghisti e dei sudtirolesi. I primi lo hanno contestano su base politica (il programma federalista), i secondi hanno scomodato motivazioni incardinate su base nazionale (austriaca): dibattiti, frange di scontri e polemiche politiche a cui si era aggiunta la malcelata ostilità di parte del mondo imprenditoriale preoccupato dal fatto che un giorno di festa potesse rappresentare un colpo per il nostro -già disastrato- Pil. Da qui il susseguirsi di proposte “intermedie”, alcune delle quali, a dire il vero, un po' nebulose, di fare del 17 Marzo una “solennità” - non una “festività”- il che avrebbe voluto dire lavorare o studiare senza disconoscere totalmente il “clima patriottico” legato a quella data.
Italia si, Italia no. Italia “fatta” o da “rifare”? Alla fine -fortunatamente- il richiamo al buon senso ha prevalso sul caos dei dissensi e sulla fragilità delle chiacchiere. Almeno per una volta. E almeno in un'occasione celebrativa come questa che cade in un momento sociale e politico assai convulso, febbrile, nel quale il nostro paese sembra essere assai vicino ad una profonda crisi identitaria.
E' stata l'occasione di confrontarsi con le complessità di un'identità nazionale plurima, multiforme e solcata, sempre più spesso, da divisioni. Le contestazioni, tutto sommato, sono l'essenza della democrazia, il termometro di contraddizioni e di malumori di cui non si può non tener conto poiché obbligano ciascuno di noi a discostarsi dalla retorica ed a rinnovare le argomentazioni ponendosi criticamente e incessantemente di fronte alla dialettica dell'attualità. Da questo punto di vista proprio i dissensi e le tensioni profonde che hanno anticipato il clima celebrativo possono aver significato che i valori non sono tutti uguali, né indifferenti, e che un paese democratico deve necessariamente imparare a gestire il confronto animato tra le “memorie divise” e che da esso può uscirne persino arricchito. In generale tutte le feste nazionali, con il loro armamentario celebrativo e il loro spettro comunicativo, tendono a sigillare la centralità fondativa di alcune conquiste sociali e politiche che ci identificano e ci appartengono profondamente; la loro importanza risiede anche nella costruzione di forme celebrative univoche, capaci di incorporare passioni collettive e incanalarle in una memorialistica comune. L'istituzione nazionale delle celebrazioni del 17 Marzo ha significato non solo il riconoscimento di una serie di eventi fondativi della storia del Paese e del recupero della loro memoria ma anche la legittimazione, sotto il profilo puramente simbolico, della nostra storia come spirito di appartenenza condiviso a quel progetto politico, a quella patria che il Manzoni definiva romanticamente “ …] Una d'arme, di lingua, d'altare. Di memorie, di sangue, di cor” (A. Manzoni, Marzo 1821). Posto ciò, ritornare oggi al ricordo degli eventi risorgimentali dovrebbe essere un'attività di riflessione non solo provocata dalla formale e importante occasione celebrativa, ma il tentativo di cogliere il senso profondo dalla ricostruzione storica rappresentato dal saper rivolgere al passato le domande scaturite dall'attività convulsa del presente, non certo per trovare le soluzioni ma per ripercorrere a ritroso la concatenazione delle vicende che hanno generato alcuni fenomeni fino a coglierne le variabili più durevoli e dibatterne le ragioni meno effimere.
313º Gruppo Addestramento Acrobatico Frecce Tricolori
Parliamoci francamente: per alcuni si è trattato di una semplice vacanza, di un provvidenziale intermezzo intercorso nella settimana lavorativa e passato in sordina. Né più né meno. Per altri, tuttavia -e penso, sopratutto, alle nuove generazioni- il 17 Marzo è servito sia per venire in contatto con eventi fondativi della storia del Paese sia per rielaborarli ravvivandoli con le suggestioni derivate dalle problematiche del presente.
Alessandro Manzoni su bigliotto da centomilalire
In questo senso credo appaia fondamentale chiedersi quali siano le sintonie tra quegli eventi sedimentati nei libri di storia e la nostra realtà in trasformazione, costantemente solcata da contraddizioni e da cadute ideali. Eppure il nostro Risorgimento resta la chiave di volta di un presente che continua a fare i conti inconsciamente con i valori, le proposte politiche e i modelli sociali di quel secolo, l'Ottocento, che è stato il paziente tessitore dello stato di diritto, dell' espansione dello stato sociale, del liberalismo e della presenza della ragion di stato. Il nostro lungo e travagliato processo di unificazione nazionale è inscritto nella dimensione culturale, politica e culturale dell'Ottocento europeo, romantico e rivoluzionario, proiettato verso il razionalismo collettivo, verso modelli inediti di solidarietà internazionale alla ricerca di nuovi equilibri di pace e giustizia sociale.Celebrare il 150esimo della nostra unità dovrebbe significare, inoltre, tornare a quella concezione di nazionalità che ispirò la nostra battaglia unitaria mentre veniamo condizionati, da un lato, da un internazionalismo legato alle spinte globalizzatrici e dall'altro da una serie di fondamentalismi spinti e feroci, basati su malintese fedi religiose che trovano pericolosi consensi e provocano conflitti esasperati; dall'altro, ancora, da istrionici progetti leghisti basati su ragioni secessionistiche e federaliste, tesi a minacciare costantemente, come una spada di Damocle, il rafforzamento dello spirito unitario e della identità sociale e civile del nostro Paese. Quando, invece, ora più che mai, sarebbe fondamentale richiamare, a livello politico e istituzionale, il senso più vero del concetto di democrazia e di appassionata passione al suo realizzarsi.Insomma, l'Italia “Una, repubblica, indivisibile”, celebra l'anniversario della sua unificazione politica ma continua a fare i conti con un'intrinseca incompiutezza che caratterizza gli italiani, più spesso popolo, troppo poco spesso nazione. Incompiuto forse è quello spirito di appartenenza ad un sogno, ad un progetto comune, ad un genuino senso dell'identità nazionale. Incompiuta è la fiducia dei cittadini nei confronti della politica, percepita come distante dagli umori e dai sentimenti della gente, una “casta” rimasta indietro al paese reale, rimasta immutabile mentre la società, volente o nolente, trascinata dalla contemporaneità correva in avanti e mutava radicalmente.
Incompiuta risulta, infine, l'assimilazione del concetto di nazione a quello che, nel 1882 il francese Ernest Renan definiva in maniera sublime come “plebiscito di tutti i giorni” intendendo con tale espressione la volontà di partecipazione attiva, la consapevolezza di appartenere ad un progetto democratico e liberale, coerente e condiviso, che si alimenta di una coscienza collettiva.

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