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Cayetano Santos Godino |
Cayetano Santos Godino, detto anche il “petiso
orejudo” (“bassetto orecchione”) è stato il primo e forse più tristemente famoso
“serial killer” della storia argentina, accusato dell’assassinio di quattro
bambini, del tentato omicidio di altri sette e dell’incendio di sette
abitazioni.
Nato a Buenos Aires il 31 ottobre 1896 - figlio
di Fiore e di Lucia Ruffo, entrambi calabresi, che ebbero altri sette figli - Godino
all’età di 16 anni seminò il terrore tra gli argentini del tempo.
Il padre era alcolista e picchiatore, ed
aveva preso la sifilide prima della nascita di Cayetano. Sua probabilmente la responsabilità
dei gravi problemi di salute del figlio, che nei primi anni di vita rischiò più
volte di morire a causa di diverse malattie.
Cayetano trascorse la sua infanzia in
strada. Espulso da diverse scuole per gli atteggiamenti ribelli ed il totale
disinteresse per gli studi, Cayetano elesse a luogo delle proprie scorribande
le zone più degradate e periferiche di Buenos Aires. Già all’età di sette anni,
Cayetano sequestrò un bambino di 21 mesi, Miguel De Paoli, e dopo averlo
portato in un luogo isolato lo abbandonò dopo averlo picchiato selvaggiamente. Per
fortuna dell’accaduto si accorse un vigile, che portò in salvo il fanciullo e
consegnò Cayetano alle forze dell’ordine.
Poco meno di due anni dopo, il “bassetto
orecchione” prese una bambina di 18 mesi, Ana Neri, che abitava a pochi metri da
casa sua e, portatala in un luogo dove non poteva essere visto, la colpì ripetutamente
alla testa con una grossa pietra. Anche in questa occasione venne avvertito un vigile
che portò il piccolo criminale caserma, dove fu consegnato ai genitori la sera
stessa.
All’epoca Cayetano frequentava un tale
Alfredo Tersi, suo coetaneo, entrambi dediti al furto di orologi agli operai
che lavoravano nei cantieri per poi rivenderli in strada.
Il primo crimine del “bassetto
orecchione” passò inosservato, poiché sarà lui stesso a rivelarlo diversi anni
dopo al momento della confessione alle forze dell’ordine. Stando alla sua
successiva confessione, nel 1906 rapisce una bambina di circa 2 anni, la porta
in una zona disabitata, tenta di strangolarla, ma non ci riesce. Decide quindi di
sotterrarla viva in una fossa che poi ricopre con spazzatura. Le autorità
cercarono anche un riscontro alle sue parole, ma purtroppo sul luogo indicato
era stato nel frattempo edificato un palazzo di due piani che impedì i
necessari accertamenti. Comunque, negli archivi della polizia venne trovata una
denuncia per la scomparsa di una bambina, una tale María Rosa Face, che
all’epoca aveva tre anni e non fu mai ritrovata.
Sempre in quel periodo il padre di Godino
denunciava alla polizia lo strano comportamento del figlio che si divertiva a
torturare i polli che lui allevava. Sulla base di questi precedenti, Godino venne
detenuto in carcere, su disposizione del tribunale locale, per due mesi. Poco
dopo, una sera entrò negli uffici di un magazzino di materiali edilizi, dove diede
fuoco ai libri contabili, provocando un incendio di tali dimensioni che i
pompieri riuscirono a domarlo solo dopo varie ore di duro lavoro. All’epoca lui
era già fortemente alcolizzato e ciò gli provocava febbre e dei fortissimi mal
di testa che lo rendevano estremamente aggressivo con istinti omicidi.
A settembre del 1908, Godino rapì sull’uscio
di casa un bambino di 22 mesi, Severino González Caló e, portatolo in un
terreno abbandonato, lo buttò in una fossa piena d’acqua di fogna, tentando di affogarlo.
Per fortuna se ne accorse in tempo il personale di un vicino magazzino che
scongiurò il tragico esito della vicenda e consegnò il Godino alle forze
dell’ordine. La sua vendetta non tardò. Alcuni giorni dopo egli si intrufolò
nottetempo negli uffici del magazzino provocando un altro incendio di vaste
proporzioni che causò danni ingenti.
Ma nulla fermava l’ansia omicida di
Cayetano. Alcuni giorni dopo, sequestrò un altro bambino di 20 mesi, Julio
Botte, seduto sulla soglia di casa e tentò di bruciargli le palpebre con una
sigaretta. Stanchi dell’atteggiamento del figlio, i genitori lo portarono in
caserma, da dove fu trasferito in un riformatorio per minorenni, dove venne
ricoverato per tre anni. Frequentò la scuola interna, ove imparò le prime
lettere, ma questo ricovero invece di recuperarlo formò un assassino terribile
che venne consegnato alla società sotto richiesta degli stessi genitori sulla
fine del 1911.
I genitori, infatti, nel tentativo di
recuperarlo, gli trovarono un lavoro nella zona che lui tenne solo per tre
mesi, dopodichè Cayetano si rimise a gironzolare per le strade ed a frequentare
cattive compagnie sia di notte che di giorno.
A gennaio del 1912 un delitto terribile sconvolse
la tranquillità della città. Fu infatti ritrovato, il giorno successivo alla
denuncia della sua scomparsa, il corpo del tredicenne Arturo Laurora. Lo
sfortunato ragazzo venne trovato seminudo, pieno di lividi e con una corda stretta
intorno al collo. Anche in questo caso l’inchiesta non arrivò a nessuna
conclusione e solo dopo l’ultimo arresto Cayetano si attribuiva anche la
paternità di questo omicidio.
Passano solo due mesi e Godino prende di
mira una bambina di 5 anni, Reyna Vainicoff, alla quale incendiò i vestiti che
portava addosso. La piccola morì dopo giorni di agonia preso l’Ospedale dei
Bambini di Buenos Aires. A luglio incendiò una segheria della zona ed anche
un’altro magazzino di materiali edili, stavolta per fortuna senza conseguenze
per le persone.
A settembre, mentre lavorava come
bracciante in un altro magazzino, ammazzò un cavallo, anche se non si riuscì a
provare che fosse stato lui a uccidere il povero animale. Passano solo pochi
giorni, ed un grande incendio avvolge un edificio della linea tramviaria locale.
A novembre Godino attirò un altro
bambino, Roberto Russo di due anni, e lo convinse ad accompagnarlo per comprare
delle caramelle. Portò invece il piccolo malcapitato in un magazzino della zona
dove, dopo avergli legato mani e piedi, tentò di strangolarlo. Per fortuna se
ne accorse in tempo un bracciante intento a lavorare e salvò il fanciullo. Il bruto venne portato ancora
una volta in caserma dove dichiarò di aver già trovato il bambino in quelle
condizioni. Messo sotto processo per tentato omicidio, Cayetano venne in questa
occasione assolto per mancanza di prove.
Quattro giorni dopo mise gli occhi su
un’altra sventurata: la piccola Carmen Ghittoni. Per fortuna, l’accorrere di un
vigile attirato dalle urla della bambina
lo mise in fuga. La settimana successiva rapì la piccola Catalina
Neolener e la trascinò a forza in una casa apparentemente abbandonata. Anche in
questa occasione le urla della vittima designata attirarono l’attenzione del
proprietario della casa inducendo il “bassetto” ad una fuga precipitosa. Sempre
in quei giorni veniva segnalato l’incendio doloso di altri due magazzini.
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Cayetano Santos Godino |
Ai primi di dicembre, Cayetano compì un
altro efferato delitto. Adescò per strada il bambino Gesualdo Giordano ed
attirandolo con alcune cioccolate lo portò in una villa disabitata dove, dopo
averlo legato mani e piedi, tentò di affogarlo con una corda. Siccome Jesualdo
resistette, il “bassetto” cercò un chiodo per ammazzarlo. Uscendo dalla villa,
trovò il padre del bambino che lo stava cercando. Gli disse di non saperne nulla
e lo consigliò ad andare in caserma per sporgere denuncia. Dopodichè, Godino
rientrò nell’abitazione e portò a termine l’ennesimo malvagio delitto: colpì
ripetutamente alla testa con un chiodo il piccolo fino ad ucciderlo. Alcune
persone segnalarono alla polizia di aver
visto poco prima il bambino in compagnia di Cayetano che, nonostante ciò, ebbe
comunque il macabro coraggio di presentarsi al funerale dove osò carezzare il
capo del piccolo per verificare gli
effetti dei colpi di chiodo.
La mattina successiva, comunque, egli
venne tratto in arresto dalla polizia che trovò anche diverse prove del delitto
tra cui corda, maglietta e pantaloni macchiati di sangue. Stavolta Cayetano
confessò l’omicidio ed anche tutti gli altri delitti precedentemente commessi,
provocando disgusto e stupore tra gli inquirenti presenti specie quando spiegò
il piacere che provava mentre vedeva le proprie vittime agonizzanti.
Il 4 gennaio 1913 Cayetano Godino venne
ricoverato in un manicomio criminale, dove in altre occasioni manifestò istinti
omicidi tentando di uccidere alcuni detenuti. Il giudice incaricato del
processo lo fece sottoporre a perizia psichiatrica da parte di diversi
specialisti che concordarono nel definirlo “alienato e perverso, degenerato
mentale con caratteri di ereditarietà, irresponsabile dei suoi atti e senza
speranza di recupero”. In considerazione di ciò il giudice si oriento verso
l’assoluzione del Godino disponendo nel contempo che venisse internato a vita
in manicomio.
Questa sentenza venne confermata anche in
appello, ma la Cassazione
ribaltò il verdetto e, ritenendolo capace di intendere e di volere, lo condannò
alla pena dell’ergastolo. Trasferito nel Penitenziario Nazionale a novembre del
1915, Godino nel tempo imparò a leggere e scrivere.
Nel 1923 fu trasferito nella prigione di
Ushuaia (il cosiddetto “carcere della fine del mondo”) dove venne sistemato
nella cella numero 90. Dieci anni dopo, intervistato da un famoso giornalista
dell’epoca, raccontò di essere da poco uscito dall’ospedale del carcere, dove
si era dovuto ricoverare per curarsi dalle botte ricevute dagli altri detenuti
dopo che lui aveva ucciso senza pietà alcuni gattini che erano considerati le
mascotte el carcere. Da quel momento Cayetano mantenne una condotta esemplare.
Ammalatosi seriamente nel 1935, Godino
morì il 15 novembre 1944, a causa di una emorragia interna, forse causata dall’ulcera
gastroduodenale che lo tormentava, ma la vera causa della sua morte non è stata
mai chiarita. Trascorse gli anni in prigione abbandonato da tutti. Perse i
contatti con la famiglia, che forse ad un certo punto rientrò in Italia senza
che lui ne sapesse nulla.
Il
“carcere della fine del mondo” venne definitivamente chiuso nel 1947, ma nel piccolo
cimitero vicino le ossa del “Bassetto orecchione” non vennero mai trovate.